pierluigic ha scritto: ↑sabato 16 luglio 2022, 6:19
A conferma sulla successione dei marchesi romani con titolo a tutti i figli maschi e femmine
nell'annuario della nobilta' del 1899 postato da Giovanni Maria
vedi Teodoro e Delio figli maschi di Giuseppe essere poi altrove chiamati
il marchese Teodoro e il marchese Delio
Tralascio il modo di fare ricerca storica - che preferisco non qualificare- dell’Ingegnere Pierluigi Carnesecchi ( pierluigic) che percorre le sue strade di ricerca…….
Non mi interesso di Araldica né tanto meno di Nobiltà e di Titoli nobiliari in quanto la materia è molto complicata ed ancora molto controversa. Però vi sono tantissimi esperti in materia. Personalmente ho l’onore di collaborare con uno dei più importanti esperti di Diritto Nobiliare presenti in italia.
Come è noto ai più è doveroso in questa sede ribadire che i Titoli Nobiliari Italiani furono definitivamente stabiliti ed inseriti in quello che è l’ Elenco Ufficiale Nobiliare italiano Edito a Torino nel 1922 .
Ad esso seguirono poi le decisioni della Consulta araldica dell’anno 1937 e come è noto poi con la Costituzione della Repubblica Italiana la materia si complicò ulteriormente dopo l’anno 1946.
A questo bisogna fare riferimento.
Sappiamo altresì ed apprendiamo da Fonti scritte e documentate che fu la Consulta Araldica del Regno d’Italia ad attribuire poi in maniera definitiva ed ufficiale il titolo di Marchese ad alcuni esponenti della famiglia Ciccolini .
Questo avvenne nell’anno 1908 allorquando fu pubblicato L'ELENCO UFFICIALE DEFINITIVO DELLE FAMIGLIE NOBILI E TITOLATE DELLA REGIONE MARCHIGIANA inserendolo nel BOLLETTINO UFFICIALE DELLA CONSULTA ARALDICA VOLUME VI N. 30 OTTOBRE 1908.
Eccone uno stralcio :

Precedentemente a tale data nell’anno 1904 la Consulta araldica del Regno d’Italia pubblicò L’ELENCO PROVVISORIO DELLE FAMIGLIE NOBILI E TITOLATE DELLA REGIONE MARCHIGIANA inserendolo nel BOLLETTINO UFFICIALE DELLA CONSULTA ARALDICA VOLUME VI n° 27, LUGLIO 1904 .
Eccone uno stralcio:

L’ELENCO PROVVISORIO DELLE FAMIGLIE NOBILI E TITOLATE DELLA REGIONE MARCHIGIANA

Pagina 230 FAMIGLIA CICCOLINI
La Famiglia Ciccolini venne così inserita nell’Elenco Ufficiale Italiano edito nell’anno 1922 a Torino .

Alla pagina 259 :il Cognome CICCOLINI
Troviamo i Ciccolini anche nell’Enciclopedia Storico Nobiliare italiana di Vittorio Spreti nel secondo Volume pubblicato nell’anno 1929 alla pagina 460
Successivamente il Sovrano Militare ordine di Malta ( SMOM) pubblico in Roma nell’anno 1960 un ELENCO STORICO DELLA NOBILTA' ITALIANA

Poi per quanto riguarda lo stemma della Famiglia Ciccolini lo ritroviamo in un opera manoscritta che è stata digitalizzata ed è presente nel sito dell’Archiivio Capitolino e più specificatamente nelle risorse digitali .
Trattasi del << Libro d’oro della Nobiltà Romana>>
Conservato nella Città di Roma presso l’Archivio Capitolino, Camera Capitolina, cred. XXIV, t. 26
Si può sfogliare forse in parte sul link :
http://www.archiviocapitolinorisorsedig ... 552/243552
nel manoscritto alla carta 82 troviamo lo Stemma dei Ciccolini :
http://www.archiviocapitolinorisorsedig ... e/0091.pdf

con la seguente descrizione :
<< Ex Constitutione S. M. Benedicti / XIV diei 4 Jannuarii 1746 quae/ incipit Urbem Ropmam >>
Qui’ di seguito la descrizione che si trova dell’opera ,manoscritta digitalizzata.
[ Copia incolla dal sito web con le virgolette aperte ( << ) e poi chiuse (>>)
<<
Libro d’oro della Nobiltà romana
Con la costituzione Urbem Romam, emanata da Benedetto XIV il 4 gennaio 1746, si stabilì il numero e l’elenco delle famiglie ascritte ai due ordini della nobiltà romana, quello dei cives nobiles e dei cives nobiles conscripti, distinguendo tali ordini da quello dei cives romani.Il provvedimento scaturì dall’esigenza di mettere fine ad una situazione di abuso e confusione, determinata da un vuoto legislativo, per cui l’ottenimento della cittadinanza romana e l’aver ricoperto incarichi nella magistratura civica capitolina davano nella prassi, senza bisogno di prove più decisive, diritto a fregiarsi del generico titolo di nobile romano.[1] Ad evitare ogni ambiguità per il futuro, la costituzione prescrisse alla magistratura capitolina la formazione di tre distinti libri, da conservarsi all’Archivio municipale: il primo per registrare i nomi dei cives creati sotto la semplice denominazione di cives romani, il secondo quelli dei cives nobiles romani ed il terzo quelli dei cives nobiles romani conscripti.
In osservanza a tali disposizioni, nella congregazione della Camera Capitolina del 25 gennaio 1746 si decise di fare “tre libri per la nobiltà”.[2] L’incarico di compilare e decorare le pagine dei tre libri, uno per i cives, uno per i nobiles e uno per i conscritti, venne dato ad un tal Simonetti “scrittore di belli caratteri” [3], il quale dovette compiere la sua opera entro il 26 settembre 1746, data in cui la congregazione della Camera decise di emettere un mandato di 64 scudi a favore del calligrafo a totale saldo del “lavoro di scrittura, et ornati da esso fatti nelli tre libri concernenti la cittadinanza, e nobiltà romana”.[4]Le legature, in cordovano cremisi, dovettero essere eseguite secondo i desideri del papa “con quel maggior decoro possibile corrispondente alle materie”.[5]
I tre codici, lussuosamente legati e decorati, non sono giunti fino a noi. Il fatto potrebbe essere spiegato dalla notizia, riportata nel diario dell’abate Benedetti, del rogo “del libro d’oro di Campidoglio con tutti gli ordini cavallereschi”[6], dato alle fiamme il 17 luglio 1798 durante una movimentata cerimonia in piazza di Spagna, nel tempo della Repubblica Romana. I tre libri sarebbero infatti da identificare nell’unitario concetto di libro d’oro, riferito, come è specificato dal narratore, ai tre diversi ordini cavallereschi.[7]
Dovettero passare quasi quarant’anni dal rogo del 1798 perché si ripresentasse l’esigenza di un nuovo libro d’oro della nobiltà romana. È solo nel 1836, infatti, che presero l’avvio alcune iniziative preliminari per la raccolta dei dati necessari alla ricostituzione del libro.[8]L’incarico della realizzazione vera e propria venne affidato, all’inizio del 1839, ai marchesi Muti e Melchiorri.[9] Costoro, nel giugno, affidarono al pittore Giovanni Rust il compito di disegnare e dipingere su fogli di pergamena le armi gentilizie delle famiglie nobili romane[10], prendendo come modello due libri di stemmi[11]. Terminato il lavoro di Rust il 22 aprile 1842[12], si stabilirono, nel giugno, i criteri secondo i quali si dovevano ordinare progressivamente i fogli di pergamena e si decisero i dati che ogni foglio, oltre allo stemma, doveva riportare[13]. Il 2 luglio dello stesso anno il marchese Melchiorri venne incaricato di occuparsi della legatura ed ornati del libro[14]. Finalmente, all’inizio del 1844, il libro era pronto per la legatura, avendo il Rust terminato di decorare con una ricca miniatura il frontespizio e con le armi del Comune e di Gregorio XV il primo foglio.[15] Dovettero trascorrere però altri tre anni perché il libro fosse completato in ogni sua parte. Infatti solo il 27 luglio 1847[16] il marchese Melchiorri fu in grado di presentare alla congregazione della Camera Capitolina l’opera finita. Il grande codice, riccamente decorato con gli stemmi gentilizi, con una legatura ricoperta di velluto rosso, guarnita agli angoli, sul dorso e sui piatti anteriore e posteriore con bronzi dorati, opera del bronzista Guglielmo Hopfgarten[17], fu consegnato per la conservazione all’Archivio Capitolino, dove tutt’oggi si trova.[18]
(Michele Franceschini, L’Angelo e la città, Roma 1987, vol 2, pp.44-45)
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[1] Vedi, a tale proposito, il carteggio preparatorio della costituzione in ASV, Benedetto XIV, Bolle e costituzioni, t. 7, cc. 3-22. La costituzione ribaltò completamente tale prassi, imponendo che solo coloro che riconosceva ascritti all’ordine dei conscripti potessero essere imbussolati per gli uffici di Conservatore e Caporione.
[2] ASC, Camera Capitolina, cred. VII, t. 40, p. 92.
[3] Ibidem, p. 140. Al Simonetti venne concesso un primo pagamento di 20 scudi come anticipo.
[4] Ibidem, p. 166.
[5] Cfr. il chirografo del 30 marzo 1746, con il quale Benedetto XIV autorizzò il rimborso delle spese sostenute dalla Camera Capitolina per la fattura dei tre libri, in ASC, Camera Capitolina, cred. VII, t. 101, n.4. Tale rimborso ammontò a 12 scudi e 90 denari per 430 fogli di carta papale per la formazione dei libri, e a 30 scudi per le legature.
[6] Il brano del diario relativo al rogo del libro d’oro è riportato in D. Silvagni, La corte e la società romana nei secoli XVIII e XIX, v. 1. Roma 1884, pp. 430-432. Il medesimo episodio è narrato anche nel Monitore di Roma, n. 44, 21 luglio 1798, pp. 392-393.
[7] In realtà quello dei cives non è un ordine nobiliare. È tuttavia verosimile che, nonostante la distinzione voluta dalla Urbem Romam, si sia continuato a ritenerlo tale. Del resto il non aver trovato traccia nella documentazione della Camera Capitolina della formazione di un unico libro che, oltre ai tre menzionati, riportasse insieme i nomi delle famiglie ascritte ai due ordini nobiliari, porta inevitabilmente ad identificare il libro d’oro con i tre codici dispersi.
[8] Alla futura formazione del nuovo libro d’oro è da riferire la stampa degli elenchi della nobiltà romana, ultimata il 18 agosto 1836 (ASC, Camera Capitolina, cred. XVIII, t. 106, p. 25). Sulla base di questi elenchi vennero inviate lettere circolari, fatte stampare il 13 febbraio 1837 (ibidem, p. 36), perché gli ascritti alla nobiltà romana facessero pervenire al segretario della Camera Capitolina il proprio stemma gentilizio. Non sembra che l’iniziativa avesse riscosso molto successo, poiché nonostante i solleciti e le minacce di sanzioni, non tutti vi aderirono. Cfr. Loc. cit., pp. 51,55, 56,59,63,65,82,85,90,94,148,161,168,172.
[9] Ibidem, pp. 96-97.
[10] Cfr. ASC, Presidenza del Museo Capitolino, b. 21, tit.2°, prot. 108. Il marchese Melchiorri, presidente del Museo Capitolino, conosceva personalmente il pittore Giovanni Rust, poiché questi era alle sue dipendenze come custode del Museo.
[11] Uno dei due libri era stato fatto eseguire dal marchese Sampieri, ma, non ancora ultimato, il 17 settembre 1839 fu fatto ugualmente consegnare al marchese Muti per la formazione del libo d’oro. Cfr. ASC Camera Capitolina, cred. XVIII, t. 106, p. 141. In realtà non si tratta di un libro, ma di una serie di tavole sciolte, tuttora conservate presso l’Archivio Storico Capitolino (Camera Capitolina, cred. XIV, t. 168). L’altro libro fu fatto acquistare presso la libreria della Minerva il 27 maggio 1839. Cfr. Cam. Cap., cred. XVIII, t. 106, p. 113.
[12] Ibidem, cred. XX, t. 57, p. 32
[13] La commissione formata dal Muti, dal Melchiorri e dallo Scribasenatus Giuseppe Piccolomini stabilì che nella prima parte del libro dovevano essere inseriti i fogli relativi alle famiglie ascritte alla nobiltà nella Urbem Romam, di seguito quelli relativi alle famiglie di acquisizione successiva, in ordine cronologico. Tale criterio non fu però adottato, sostituendolo con uno alfabetico. Oltre allo stemma, ogni foglio doveva registrare la data del conferimento della nobiltà e il tipo di provvedimento, senatus consulto o costituzione pontificia, specificando per i coscritti il titolo di conscripti; cfr. Cam. Cap., cred. XX, t. 57, p. 40.
[14] Ibidem, p.43.
[15] Ibidem, p. 79. La decorazione del frontespizio raffigura, al centro di un’edicola, le statue di Minerva-Roma e della lupa bronzea, contornate dalle bandiere dei 14 rioni della città.
[16] Ibidem, p.176.
[17] Cfr. Presidenza del Museo cit., prot. 589. Nel medesimo fascicolo si trova il conto dell’astucciaro Gaetano Giammaria, esecutore della cassetta di noce foderata di velluto, nella quale è tuttora custodito il libro d’oro. Sul bronzista prussiano Hopfgarten, forse collaboratore del laboratorio dei Castellani (vedi a tale riguardo Cam. Cap. cred. XX t. 57, p. 171) cfr. G. Moroni, Dizionario di erudizione storico-ecclesiastica, v. 21, Venezia 1843, p. 116; v. 30, Venezia 1845, p. 180; v. 50, Venezia 1851, p. 11.
[18] Cam. Cap., cred. XX, t. 57, p. 179, nel libro sono state inserite le aggregazioni successive al 1847 nei fogli lasciati appositamente in bianco. Il libro d’oro è conservato presso l’Archivio Capitolino, Camera Capitolina, cred. XXIV, t. 26 >>
Spero solo di aver fatto un pochino di chiarezza.
Con la Genealogia e con la Storia non si scherza.
Poi se vogliamo giocare si può sempre fare, ma sempre a scapito della verità documentale che non si po' e non si deve inserire (a scriverla alla francese ) in un
pot-pourri che in Italia si traduce come :
<<
mescolanza di cose eterogenee; miscuglio, accozzaglia: un p. di osservazioni, di citazioni. ◆ In ital[iano] è talvolta usato l’adattamento fam[iliare] pupurrì. >>
Vedi :
https://www.treccani.it/vocabolario/pot-pourri/
Buona Ricerca a tutti